Suzanne Schols / Flickr CC

Sulle breaking news

Philip Di Salvo
5 min readNov 15, 2015

Gli attentati di Parigi sono stati una nuova, ennesima, sfida lanciata al concetto di breaking news nell’era digitale. Forse ancora più che in occasione dell’attentato alla redazione parigina di Charlie Hebdo, le testate europee e di tutto il mondo e di differente estrazione si sono trovate a dover affrontare e cercare strategie efficaci per raccontare ai lettori una storia tragica, complessa, poco chiara e in costante divenire.

I rischi connessi al fare del giornalismo su una notizia come la morte, per mano di attentatori armati, di oltre 100 persone in una capitale europea, sono molteplici e anche ben noti, spesso in negativo, alle redazioni e ai lettori: verifica delle notizie e delle indiscrezioni provenienti da fonti di diverso tipo; filtraggio; bilanciamento dei toni e dei contenuti e, infine, la necessità di riempire media e piattaforme diverse, dal giornale cartaceo della mattina successiva al profilo Twitter della testata. Paradossalmente, è toccato alla spesso vituperata BuzzFeed, una testata che ha fatto della viralità il suo pane quotidiano, fornire una raccolta dei falsi circolati sui social media:

Il Washington Post, proprio nella tragica serata di venerdì, ha dato esempio di quanto queste dinamiche possano intrecciarsi e quanto esse vadano a stravolgere le attività quotidiane di un grande giornale. Nel flusso di tweet pubblicato dal quotidiano della capitale Usa durante gli attacchi parigini è apparso anche un tweet relativo a un articolo sulla superstizione del venerdì 13, evidentemente programmato in precedenza. Un contenuto che strideva con gli aggiornamenti da Parigi. Il Washington Post si è scusato con i lettori con un altro tweet:

Un caso emblematico di accountability e correttezza, certo, ma anche un esempio di come eventi totalizzanti come #ParisAttack necessitino di un totale ripensamento delle pratiche del giornalismo online. Un altro punto cardine che è emerso meno di altre volte venerdì ma che continua a essere urgente è una moratoria sui banner pubblicitari per evitare infelici connessioni tra i contenuti, come ricordava il Nieman Lab scritto in occasione della tragedia del volo Germanwings.

Le breaking news di eventi di portata globale sono infatti zone del giornalismo in cui la pratica redazionale quotidiana, compresi gli aspetti economici connessi, è sospesa in favore del puro e semplice servizio pubblico.

L’accettazione del liveblogging sui siti online dei giornali come formato standard, inoltre, ha spinto le redazioni a lavorare, in questi casi, come canali televisivi all-news, fornendo aggiornamenti costanti, minuto-per-minuto. La dinamica non è certo nuova nel giornalismo, ma gli aspetti più televisivi dei social media l’hanno certamente accentuata e resa ancora più centrale.

Gli attacchi parigini mi sono arrivati, in modo stridente, — come lettore — mentre mi trovavo a un concerto, una condizione che ne ha immediatamente alterato la mia percezione personale ed emotiva e rendendo il mio smartphone, e quello delle persone con cui mi trovavo, il mio strumento di informazione. Ci sono due elementi fondamentali su cui si è costruita la mia informazione sui fatti parigini in quel contesto e che credo diano il polso di cosa siano le breaking news oggi, almeno online:

  • Non si può più rinunciare alle notifiche push
  • Gli aggiornamenti devono avvenire dentro i social media

È stato il Guardian a notificarmi per primo le sparatorie nelle strade di Parigi, con un alert della sua app. Il servizio funziona bene, consente un quasi-ottimo livello di personalizzazione, ma non è certamente perfetto: ricevo ancora troppe notifiche di politica interna britannica, ad esempio, ma nel complesso, se ripenso alle maggiori breaking news degli ultimi mesi, queste mi sono arrivate sempre in questo modo:

Tra le applicazioni mobile di singole testate, quella del Guardian è probabilmente la migliore disponibile — di certo non le ho provate tutte — e l’unica che, dalla morte di Circ.ca, consulto frequentemente. La prima notifica mi ha quindi portato a leggere le prime, confuse, notizie (un ristorante, forse lo stadio, forse delle bombe, una sala concerto) dentro l’applicazione, ma l’istinto naturale successivo è stato aprire Twitter. Il social media non vive una fase felicissima e sono molti gli utenti che denunciano una sorta di disaffezione nei suoi confronti, anche molto forte.

Resto convinto che Twitter sia e resterà il posto digitale migliore per le notizie, specialmente in situazioni eccezionali come i fatti parigini. Venerdì sera, almeno nella mia percezione di lettore, Twitter ha funzionato ancora e perfettamente come quello che, ormai sei anni fa, Alfred Hermida chiamava “ambient media” e “awareness system”. Tutti i contenutim migliori, e più utili per capire quanto stava accadendo a Parigi mi sono arrivati tramite Twitter. Il nuovo servizio Moments, di cui avevo scritto qui per Wired, in particolare, ha dimostrato di poter funzionare molto bene in questi casi:

Su Twitter, la fonte francese ad aver fatto un lavoro migliore per le audience internazionali e non francofone è stata l’Agence France-Press, grazie a tweet in inglese, semplici e chiari, senza link al proprio sito, ma con sempre l’indicazione di una fonte. Puro e semplice servizio pubblico fatto tramite Twitter:

Il resto, nella mia personale fruizione degli aggiornamenti dai fatti di Parigi, lo ha fatto reported.ly, il progetto sperimentale di First Look Media lanciato lo scorso anno per fare del “giornalismo nativo” sui social media, in particolare in occasione di grandi breaking news. A detta di chi scrive, reported.ly è al momento la testata giornalistica migliore per seguire le evoluzioni delle breaking news sui social media, sia per quanto riguarda i contenuti generati dal suo team, sia per l’eccellente lavoro di verifica e aggregazione che riesce a fornire in tempo reale su Twitter, utilizzando contenuti postati sulla piattaforma.

Si è spesso parlato negli ultimi dieci anni di “social media per le notizie”, in relazione a diverse piattaforme. Credo che sia tempo di iniziare a utilizzare questi strumenti al massimo delle loro potenzialità informative. In questo, reported.ly è senza dubbio una best practice irrinunciabile.

Gli attentati parigini rendono ancora più urgente la riflessione su cosa debba essere il giornalismo quando deve affrontare le breaking news maggiori. Le notifiche push sono oggetto di discussioni da diverso tempo, ma la loro adozione non è ancora massiccia o troppo convinta. L’altro punto cardine è quello dell’uso dei social media che deve, necessariamente, guardare sempre più in direzione delle audience in mobilità.

Almeno in occasione delle breaking news, credo che quel lavoro debba essere fatto principalmente dentro i social media e non solo usando i social media per portare i lettori sui siti web. E i due approcci possono andare tranquillamente in parallelo, in modo da non accantonare del tutto le ovvie necessità di monetizzazione delle testate.

Christian Christensen ha scritto una cosa molto interessante ieri su Medium, commentando alcuni aspetti giornalistici degli attacchi di Parigi:

“Live events are indeed ‘fluid‘ and unpredictable, but that is precisely why restraint and a critical eye are needed in order to sort and critique the multiple narratives that emerge”

Questa è sempre stata la natura delle breaking news e la loro, ora inevitabile, esplosione sui social media ne amplifica ulteriormente quella natura “fluida”. Al fine di gestire al meglio questa fluidità, il posto migliore dove trovarsi e quello migliore per comunicare ai lettori — nel contesto del giornalismo online — sono i social media. Standoci dentro.

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